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Perché eravamo cinquantuno

di Valeria Cigliola e Elisabetta Morosini

Invitate dalla casa editrice uovonero per partecipare al festival “altreStorie”, per fare da madrine alla nuova BILL e a parlare di Costituzione, giungiamo a Crema un sabato pomeriggio di autunno. Prima di rivelare il nostro arrivo, ci piace scoprire da sole la città, percepirla, ascoltarla. Un bel sole, un’aria pulita, una cittadina accogliente, circondata dal verde.  

“Passioni civili e sentimenti sociali”, è il sottotitolo del festival e noi, ancora ignare, capiremo dopo, quanto quelle definizioni si attaglino a Crema, ai suoi amministratori e cittadini.

Il fronte occidentale di piazza Duomo è presidiato dal Palazzo comunale, con l’arco del Torrazzo e l’immagine del Leone di San Marco, vestigia dell’antico dominio veneziano, su cui interroghiamo, con poco frutto, i nostri ricordi di storia. Ci attira di più la piccola lapide, murata sotto il balcone che ricorda come da lì «Giuseppe Garibaldi venuto ad inaugurare il tiro a segno arringò il popolo il 10 aprile 1862».

Sotto questi auspici incontriamo gli organizzatori del festival, Sante Bandirali di uovonero e Eros Miari di Equilibri, al quale, tra l’altro, si deve la cura del programma per ragazzi del Salone del libro di Torino. Il primo, capace di pensieri immaginifici, ci racconta della sua idea, presto archiviata ma ancora viva, di realizzare a Crema un “Parco della Costituzione”; il secondo, con la competenza e la leggerezza di un’esperienza quarantennale nel campo dell’educazione alla lettura, trova subito la chiave per catturare la nostra attenzione: “Nel paese dei mostri selvaggi” di Maurice Sendak, che lui conosce in modo “assoluto”, in ogni sfaccettatura e declinazione, il film omonimo di Spike Jonze, la colonna sonora, la sceneggiatura scritta con Dave Eggers, il libro “The Wild Things”, ignoto ai più.

Al piano nobile del palazzo comunale ci attendono i ragazzi della scuola media di Crema, accompagnati da genitori ed insegnanti. Ci stupiamo, con gratitudine, di quella generosa partecipazione. Parliamo di BILL, Biblioteca della legalità, e poi della Costituzione, dei diritti fondamentali. Ma le nostre parole non suonano nuove in quei luoghi. Quei valori, a Crema, sono arrivati già da un pezzo. Non nei proclami ma nei fatti, nel senso di comunità, negli sguardi dei ragazzi che alle tre di un sabato pomeriggio illuminato dal sole stanno seduti, compìti e attenti, ai loro posti, in trepido ascolto.

Lo apprendiamo solo alla fine, stringendo le mani della Sindaca, Stefania Bonaldi: i ragazzi frequentano la scuola media Vailati di Crema, quella alla quale appartenevano i 51 studenti sequestrati a bordo dell’autobus scolastico dall’autista che voleva compiere una strage: «Oggi da qui non esce vivo nessuno». Erano stati momenti tragici quelli, sapevamo che si erano salvati tutti, ma non sapevamo che si erano salvati rimanendo uniti.

La Sindaca ha scritto una lettera al Ministro per chiedere il riconoscimento della cittadinanza in favore di tutti i ragazzi stranieri presenti su quel pullman.

Solo le parole scritte da Stefania Bonaldi in quella lettera sono in grado di restituire il senso altissimo della vicenda:

«I media danno come cosa fatta il conferimento della cittadinanza italiana a Ramy e ad Adam, due dei 51 ragazzini presenti sull’autobus della tentata strage. 

Saluto positivamente questo gesto concreto di attenzione e di gratitudine che contribuirà ad alimentare nel Paese una cultura di rispetto e di integrazione. 

Ciò detto, sottopongo alla vostra attenzione la possibilità di considerare l’estensione di questo beneficio a tutti i ragazzini di origine straniera presenti su quell’autobus. Vero che Ramy ed Adam hanno svolto un ruolo “attivo” decisivo, con le chiamate al 112, ma vero altresì che su quel bus è scattato da subito un commovente gioco di squadra, attraverso raffinati comportamenti cooperativi. 

Si è trattato di una risposta creativa, corale, dove ognuno si è comportato come membro di una comunità, attento non solo al proprio interesse ma a quello di tutti. 

Da chi si è offerto ostaggio volontario, a chi ha distratto l’autista con le urla e le grida per distogliere la sua attenzione dai compagni che avevano il telefonino, a chi incoraggiava i compagni e la bidella preda dello sconforto, a chi passava agli amici fazzolettini imbevuti di acqua perché l’odore della benzina era forte, a chi ha aiutato i compagni a sciogliersi dalle fascette con cui alcuni erano legati, a chi ha mostrato ai carabinieri la tanica dal finestrino per comunicare che c’era benzina a bordo, a chi, nel drammatico frangente della discesa dal bus ha aiutato i compagni caduti a rialzarsi e scappare.

I ragazzi e le ragazze si sono “mischiati” attraverso un comportamento solidale, si sono sentiti tutti uguali e alla pari, loro sono lontani anni luce, per fortuna, dalle nostre gabbie mentali e culturali. Una rappresentazione del paese che tutti sogniamo, a prescindere dalle idee religiose e politiche. 

Qui, con gli insegnanti e la scuola, ma anche con gli psicologi che li seguono, stiamo insistendo moltissimo su questo profilo cooperativo, evidenziato alla perfezione dal piccolo Guglielmo in occasione della visita del ministro Bussetti. Quando quest’ultimo aveva chiesto ai ragazzi a chi essi volessero dire grazie, Guglielmo ha coraggiosamente preso parola e dichiarato, davanti a tutti: “Io voglio dire grazie a tutti i miei compagni e le mie compagne, perché noi ci siamo salvati tutti insieme, ci siamo salvati perché eravamo 51 e ognuno ha fatto qualcosa, se fossimo stati 50 magari il risultato non sarebbe stato lo stesso”. 

Le parole più belle che io ho avuto modo di sentire in tutta questa vicenda. Pronunciate da un ragazzino di 12 anni. 

Nessuno si salva da solo“, signor Ministro, qui lo stiamo ripetendo come un mantra, io stessa, lontano dai riflettori, consegnerò un riconoscimento ai ragazzi e forse proporrò al consiglio comunale la stessa cittadinanza onoraria, ma nei confronti di tutti i 51 ragazzi, proprio per premiarne lo stile solidale. Per dare ragione a Guglielmo […]». 

Lasciamo Crema nel tardo pomeriggio. Il navigatore decide che dobbiamo perderci un po’ nella campagna, noi lo assecondiamo. Lo spettacolo della bruma che, taciturna, sale dai campi è imperdibile.

«Nella camera di Max quella sera una foresta crebbe».

Ma questa è un’altra Storia.


Ugo Guidolin

Conosciuto anche come Oogo, che era l'unico modo di far pronunciare il suo nome a un computer con i fonemi inglesi nel 1989, ha scritto un sacco di storie per bambini digitali a partire da "Wolfgang il Cyberlupo" (Mondadori, 1995), ma solo una per i bambini di carta: "Sybo il mio amico stratosferico" (Edizioni Paoline, 2010). È partner di Koo-koo Books, si occupa di media education e digital literacy, insegna Antropologia Culturale dei Media Digitali all'Università IUSVE di Verona e Venezia.


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