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Legalità e cultura

Report Agenda Anticorruzione 2017: peggio di noi solo Bulgaria e Grecia in fatto di corruzione. Questi sono alcuni dei dati che emergono dal nuovo report Agenda anticorruzione 2017. L’impegno dell’Italia nella lotta alla corruzione è sempre troppo debole. Il rapporto è stato presentato nel 2017 a Roma da Transparency International Italia: leggi e pratiche anticorruzione nel settore pubblico, privato e nella società civile, sono stati analizzati per valutare le effettive capacità del nostro Paese di far fronte ad uno dei mali principali che lo affligge. La corruzione, appunto. L’illegalità.

Basterebbe questa notizia, riportata nella cronaca dei giornali italiani, per affermare che l’educazione alla legalità nel nostro Paese è un’emergenza.
Non può essere un’appendice pedagogica e neppure una buona pratica, ma è un diritto del bambino e del ragazzo. E naturalmente dovrebbe essere un dovere delle istituzioni e della migliore società civile farsene carico.
Perché queste notizie ci raccontano dei fatti. Uno di questi è che l’intero tessuto sociale, e naturalmente politico, del nostro Paese è minato, vuol dire che il cancro ha leso alcune parti vitali della nostra quotidianità. Credo che sia questo uno dei motivi per cui la Biblioteca della legalità sia nata in Italia.

Io e tanti altri autori per ragazzi lavoriamo su questa parola in modo costante. Siamo spacciatori silenziosi di parole legali: come diritti, giustizia, pace, equità, differenza. E’ importante iniziare presto a portare questi temi dentro le nostre scuole perché ci si abitua presto a non sentire più l’illegalità come un male, ci si abitua a considerare che se così fan tutti, allora si può fare. Una delle conseguenze più disastrose per le giovani generazioni è che in questo clima non siamo più abituati a pensare al nostro territorio, al nostro Paese, con un sentimento di Bene Comune. Di condivisione di una ricchezza. E in questo contesto di accaparramento dei beni, il diritto diventa un favore, che è il primo passo di un sedimento mafioso. Di un sentire mafioso. Di un agire mafioso.

E’ qui che crescono i nostri bambini. E’ qui che leggono la realtà, che immaginano il futuro.

Il bambino che comincia a costruire la propria visione di mondo attraversa e assorbe valori e disvalori dentro tanti “contenitori di senso”: la famiglia, gli amici, la rete e le relazioni sociali virtuali, la scuola, la lettura, gli amici….
Il problema è che spesso queste narrazioni del mondo sono assai diverse fra loro, e ciò che arriva ai ragazzi è l’ascolto di una realtà contraddittoria, frammentata, schizofrenica. E’ il caos. E il caos va bene, ma poi devi fornirgli strumenti per orientarsi dentro il caos. Per scegliere la direzione da prendere, perché la realtà che scelgono come narrazione del mondo è fondamentale, racconta di come loro si rappresentano dentro il mondo, i passi che faranno, le tracce che lasceranno. Il futuro che diventeranno.

Ecco perché ripeto spesso che noi autori agiamo, facciamo con le nostre parole, formazione. Formazione di menti e visioni di futuro in divenire: insieme agli altri presidi educativi, naturalmente. E’ un cammino complesso che richiede delle alleanze. Quello con la scuola è il più importante. Ma anche con la famiglia. In altri Paesi esiste una relazione fra letteratura contemporanea e istituzioni, da noi no. E’ inutile non ci sarà neppure a breve. Dunque dobbiamo lavorare su quel che c’è. E la scuola e la famiglia sono le principali alleanze possibili delle storie che narrano la legalità. Ma raccontare significa anche ascoltare. Non puoi standardizzare ovunque gli interventi perché devi ascoltare la storia di quel territorio, le voci che lo compongono.

In generale, noi scrittori che andiamo nelle scuole a incontrare i ragazzi raccontiamo un immaginario che (spesso) non viene narrato né in classe né in famiglia. Raccontiamo la contemporaneità. La scuola in questo segmento di realtà non è ancora arrivata, non la lambisce perché non ha ancora programma adeguati al mondo che è cambiato. In famiglia non si racconta perché non c’è tempo. E perché non è così importante. O perché si vuole proteggere il ragazzino dalle cose brutte. E questo indebolisce non solo la memoria di un Paese, ma anche le fondamenta del pensiero di un ragazzo che si sta formando. La protezione eccessiva in genere rende fragili, che è quello che sono i nostri ragazzi. Se non li ascoltiamo in una relazione che prevede una reciprocità di dubbi e di risposte, li rendiamo ancora più fragili.

Quando però abbiamo di fronte una scuola che è interessata soprattutto a essere scuola-azienda allora la missione è impossibile. Oggi la nostra difficoltà di autore spesso è questa. Se vieni chiamata in un contesto dove ti accorgi che non c’è un progetto complessivo dietro, una visione dell’obiettivo finale che emerge nel lavoro quotidiano, nella relazione con il ragazzo, l’incontro su una lettura può risultare tempo perso. Certamente è un’occasione di alleanza formativa perduta.

Credo che per parlare di legalità dentro le storie ci siano due strade, entrambe sane.

Una è il racconto delle vite che si sono spese per contrastare l’illegalità. E’ l’esempio. La Memoria. Ed è importante che non siano le vittorie gli unici esempi. Ma il sacrificio, l’impegno, la volontà di squarciare l’omertà, il fatto che si paghi con la vita quella volontà di riscatto, non determina la sconfitta. I nostri libri lo raccontano. Io posso parlare soprattutto per il mio naturalmente: “Noi ragazze senza Paura” (Edizioni Piemme, Collana Vortici) va in questa direzione. Non mi interessava raccontare eroi ed eroine. Mi interessava raccontare le vite che si sono perse dentro la ricerca della giustizia. Spesso le “mie” donne le hanno silenziate con la violenza, perché pensavano in modo differente. Perché avevano necessità di giustizia e di sogni. Ma il fatto che abbiano speso la loro vita, o che l’abbiano messa a rischio, per quei sogni e per quella responsabilità che sentivano dentro la società degli umani, credo che sia sufficiente a spacciare la speranza, a fermare nella memoria di un paese la responsabilità di un rifiuto. La paura che ne deriva e il coraggio di superarla.
La speranza nelle mie narrazioni non piove dal cielo, con una vincita o con un pallone o con un colpo di fortuna, ma viene dal rischio che sei disposto a correre per assumerti la responsabilità delle regole e della giustizia. Una persona che da tempo ha intrapreso questa strada dentro la scuola è Gherardo Colombo, il giudice di Mani Pulite. Colombo, quando era ancora giudice, ha compreso che è dalla scuola che bisogna cominciare per arginare il senso diffuso della mentalità illegale: con l’associazione www.sulleregole.it da tempo forma operatori e formatori che hanno sposato la sua missione (così la vive l’ex giudice, in maniera laica) e sono presenti nelle scuole. A parlare di legalità. Insieme a lui naturalmente.

Un altro modo di narrare la legalità è quello di allontanarsi, apparentemente, dal focus. E parlare però di diritti e di giustizia con altre voci, con altri contenuti che diano il senso della bellezza, della cura, della differenza: anche queste storie accompagnano il bambino dentro la visione di futuro dove è presente il No all’illegalità. Parlare di orti, ad esempio, ai bambini piccoli, è raccontargli la cura per la terra come una palestra di allenamento per la cura delle persone. Se io dico al bambino: “La terra vive, vogliamo ascoltarla?” io gli sto anche dicendo che ogni cosa vivente o realizzata dall’uomo con cui entriamo in rapporto, per essere conservata e tutelata, ha bisogno di attenzione e protezione. Di Cura. Anche in questo modo io gli parlo di legalità. Di Bene Comune. Di Diritti. Di Bellezza. Di Giustizia.

Infine, nel libro “I cattivi Maestri” (la sfida educativa alla pedagogia mafiosa, EDB editore) don Giacomo Panizza, prete bresciano che ora vive in Calabria, a Lamezia Terme, racconta di come la cultura sia fondamentale per la costruzione dell’immaginario mafioso. Il disvalore che diventa valore: nella pedagogia dell’illegalità i maestri buoni sono quelli che agiscono in nome della forza e della prepotenza. Coloro che danno voce ai deboli, agli oppressi, a chi viene perseguitato, e ai diritti, sono considerati dalla mafia: un cattivo maestro. E allora, dappertutto, devono crescere i cattivi maestri.
Quelli che oppongono alla ragione dei forti, la ragione dei deboli. Non è un caso che alla sopraffazione di coloro che vivono nell’illegalità si opponga la sfida educativa perché è da lì che si comincia a conformarsi a dei modelli culturali che diventano modus vivendi.


Daniela Palumbo

Giornalista e scrittrice per l'infanzia, Daniela scrive di uomini e donne, di ragazze e ragazzi, di bambini e bambine. Spesso racconta temi difficili, nella ricerca della bellezza. Non c'è contraddizione: in tutte le storie difficili gli esseri umani manifestano (anche) la Bellezza. Quella che cambia la prospettiva e modifica lo sguardo. Daniela lavora nella redazione del mensile di strada "Scarp de' Tenis" (Caritas Ambrosiana) e ha pubblicato più di 25 libri per ragazzi con diversi prestigiosi editori italiani tra cui Giunti, Piemme, Mondadori, San Paolo, Einaudi, con cui ha vinto molti premi letterari tra cui il "Premio Battello a Vapore Piemme 2010" per il libro "Le valigie di Auschwitz". I suoi libri sono tradotti in Cina, Argentina, Spagna, Colombia, Turchia, Corea, Cile, Messico, Perù.


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