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Piccolo diario di Lampedusa (4)

 

24 aprile 2016

È l’ultimo giorno di questo viaggio. E vorrei ringraziare uno per uno chi lo ha reso possibile. Due anni fa avevo già partecipato a questo progetto del Salone di Torino che si chiama “Adotta uno scrittore” e che finora è stato riservato soltanto alle scuole di quella regione. La mia adozione a Lampedusa è la prima fuori da questi confini piemontesi. Ma per me è stato come riprendere un discorso interrotto, un filo che unisce luoghi e persone lontane e molto diverse.

Per l’ultimo incontro con gli studenti, due anni fa, ero stato in un liceo musicale di Cuneo, insieme a Gian Maria Testa, uno dei musicisti che ha cantato i migranti con maggior pudore e sensibilità, amico di un altro scrittore del Mediterraneo, il marsigliese Jean Claude Izzo. Quella mattina, in quella scuola, Gian Maria Testa ai ragazzi di Cuneo cantò “Il disertore”, una canzone pacifista scritta da Boris Vian. Ora non ci sono più né lui, né Izzo, né Vian che possano tornare ad accennarla, ma resta per tutti il loro invito a disertare da molte cose. Dai pregiudizi, dall’indifferenza e dagli stereotipi, per primo. E poi, per usare un’espressione di uno scrittore siciliano, Elio Vittorini, anche dalla quiete nella non speranza.

Preparo la valigia ed entro in casa, a fare colazione.
Da un giorno è arrivata una coppia di Genova. Lui è un professore di botanica. A tavola ci dice che quasi tutto quello che pensiamo appartenga alla vegetazione del Mediterraneo in realtà viene da fuori. La pomelia (il simbolo di Palermo) arrivò dall’America, la magnolia dal Nord America (c’era prima della glaciazione), gli agrumi tutti dall’Oriente (ci giunsero in gran parte attraverso gli arabi), le pesche dalla Cina, le albicocche dalla Persia. No, nessun agrume è autoctono, ripete il professore, tra la sorpresa generale. L’agave viene dal Messico. I fichi d’India dall’America centrale. La vite dall’Oriente, direttamente dalle regioni della Bibbia. La bougainville dal Brasile (grazie a un viaggio del conte di Bougainville, nel quale aveva portato con sé la moglie travestita da mozzo). Il papavero è arrivato con i cereali, mischiato ai semi. Ma gli esempi sono infiniti.
Cosa c’è di autoctono, allora, gli chiediamo.
L’oleandro, risponde. Le tamerici, e poco altro: la palma nana di san Pietro, il mirto, il cipresso, il leccio. Sull’olivastro si discute ancora, se sia un ceppo originario. Ma lo stesso discorso vale per l’alimentazione, prosegue: granturco, patate, pomodori, zucchine, banane, cereali, zucche, agrumi, mele, riso, li abbiamo importati da altre parti del mondo. Da noi, prevalentemente, c’erano solo cavoli e cipolle.

È un argomento affascinante, e mi sembra che il mio viaggio non poteva che finire così, con questa conversazione su quanto sia ridicolo affermare qualsiasi identità. È tutto mischiato, anche in natura. È tutto in movimento. Mi rafforza un’idea che vado maturando da un po’ di tempo. Che la parola identità sia una parola ambigua, e quasi sempre sbagliata. Una parola dietro la quale se ne nasconde un’altra, che non si può più usare. La parola purezza, nel cui nome – purezza della razza, religiosa, linguistica, politica – sono stati perpetrati i più grandi crimini dell’umanità. Ha ragione lo scrittore franco-libanese Amin Maalouf, l’identità serve solo a escludere gli altri. Sia nel bene e nel male. È per questo che le organizzazioni criminali hanno un culto identitario tanto forte, e così pure i dittatori. Ma perché, si chiede Paola, ideologia è diventata una brutta parola e identità una parola bella? In fondo, dovrebbe essere il contrario: le idee le scegli, da dove provieni no.
Sì, vale anche per me quello che ci ha appena spiegato questo professore di botanica. Come dimostra la vegetazione del Mediterraneo, e come sarà sempre di più, in futuro, la nostra è un’identità multipla. E lo si capisce con più forza proprio qui, in quest’isola remota e dimenticata.
Adesso comprendo meglio anche perché volevo venire a Lampedusa come un lettore apolide. Proprio qui, dove finisce l’Europa, o dove comincia. Dove l’utopia da perseguire è che anche quest’isola possa diventare una terra di tutte le molteplicità, come lo è la Bahia di Jorge Amado e di Zelia Gattai.
Apolidi sono i profughi, i figli dei profughi, tutti i desterradi della Terra. Ma apolidi sono anche gli abitanti di un’isola senza libri, e senza biblioteche. Nessuno stato li considera cittadini e di conseguenza non gli riconosce il diritto a una nazionalità e a un’educazione. In questo i migranti senza nome che arrivano qui e i mille bambini di Lampedusa hanno la stessa invisibilità giuridica e culturale.

Ma una biblioteca che nasce è uno sconfinamento. Un capovolgimento. Una biblioteca è un territorio internazionale e sovranazionale come quello delle ambasciate, perché è lo stesso territorio della letteratura. Territorio del possibile, prima che del reale. E una biblioteca per bambini e per ragazzi lo è più di ogni altro posto. Un piccolo uovo di tartaruga. Una diserzione dalla non speranza. Uno dei pochi luoghi che ci possono restituire l’unica cittadinanza e identità che abbiamo tutti, quella di esseri umani.

 

(Illustrazione di Lorenzo Terranera)


Fabio Stassi

Di origini arbëreshë della Sicilia, vive a Viterbo e lavora a Roma presso la Biblioteca di Studi Orientali della Sapienza. Scrive viaggiando in treno fra Viterbo, Orte e Roma. I suoi libri: con Sellerio "L’ultimo ballo di Charlot", tradotto in diciannove lingue (2012, Premio Selezione Campiello 2013, Premio Sciascia Racalmare, Premio Caffè Corretto Città di Cave, Premio Alassio Centolibri); "Come un respiro interrotto" (2014); un contributo nell’antologia "Articolo 1. Racconti sul lavoro" (2009); "Fumisteria" (2015, già Premio Vittorini per il miglior esordio); "La lettrice scomparsa" (2016, Premio Scerbanenco); "Angelica e le comete" (2017); "Ogni coincidenza ha un'anima" (2018). Ha inoltre curato l’edizione italiana di "Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno" (2013) e "Crescere con i libri. Rimedi letterari per mantenere i bambini sani, saggi e felici" (2017). E inoltre, "È finito il nostro carnevale" (Minimum Fax); "La rivincita di Capablanca" (2008); "Holden, Lolita, Zivago e gli altri. Piccola enciclopedia dei personaggi letterari" (Minimum Fax, 2010); "La leggenda di Zumbi l'immortale" (graphic novel per Sinnos ed., 2015); "Il libro dei personaggi letterari. Dal dopoguerra a oggi" (Minimum Fax, 2015); "L'alfabeto di Zoe" (Bompiani, 2016, Premio Giovanni Arpino 2017). Ha collaborato con vari quotidiani e riviste.


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