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Elogio della lettura. L’importanza della lettura nell’infanzia

Il 2 aprile è il compleanno di Hans Christian Andersen e IBBY promuove questa giornata come International Children’s Book Day , Giornata internazionale del libro per bambine e bambini, ragazze e ragazzi.

Quest’anno la celebriamo pubblicando la traduzione dell’intervento di Michèle Petit dal titolo “Elogio della lettura. L’importanza della lettura nell’infanzia“, tenuto durante l’incontro “Elogio della lettura: leggere tra spazi privati e pubblici“, organizzato da IBBY Italia, durante la Bologna Children’s Book Fair 2018.


Elogio della lettura. L’importanza della lettura nell’infanzia, di Michèle Petit
(Bologna Children’s Book Fair, 27 marzo 2018)

Buongiorno a tutti. Per prima cosa, vorrei ringraziare calorosamente IBBY Italia e in particolare Silvana Sola, David Tolin e Chiara Nicolodi di avermi invitato a essere qui, oggi. Sono molto felice di avere da tempo dei legami di amicizia e di complicità con i membri di IBBY di numerosi paesi. È per me un grande piacere essere a Bologna in occasione della Fiera del libro per ragazzi. Grazie anche a Michela che tradurrà questo testo.

Dirò qualche parola per presentarmi. Per più di venticinque anni, antropologa al Centro Nazionale della Ricerca scientifica di Parigi, ho lavorato sulle pratiche di lettura e sul rapporto con la cultura scritta, particolarmente nei luoghi in cui la cultura non è facilitata dal contesto sociale o familiare. Inizialmente ho svolto ricerche in Francia, nelle regioni rurali, poi nei quartieri popolari della periferia urbana, successivamente il mio interesse si è diretto verso contesti di crisi, in particolare in America Latina. E là, sono stati gli spazi di «educazione informale» che hanno soprattutto attirato la mia attenzione, dei laboratori in cui la lettura di opere letterarie e l’arte giocano un ruolo chiave e sono proposti a giovani che hanno fatto esperienza della guerriglia o dei gruppi paramilitari, a persone sfollate, a bambini vittime di violenze familiari, a tossicodipendenti che vivono per strada, ecc… Laboratori che sono realizzati da insegnanti, che tentano qualcosa fuori dal contesto didattico abituale, o da bibliotecari, da passeurs di libri, di associazioni, qualche volta da psicologi, scrittori, artisti, narratori, ecc… Questo intervento in paesi lontani mi ha ricordato, se ce ne fosse stato bisogno, che non si tratta solo di ambiti di condivisione dei libri, ma anche, in senso più ampio, di trasmissione culturale. In effetti, coloro che ho incontrato e che sono alle prese con queste realtà molto difficili, sono convinti che la letteratura, l’arte, la scienza qualche volta, siano semplicemente vitali e ciò che osservano con il passare del tempo li conforta in questa convinzione, che da parte mia condivido.

Stamattina, David mi ha chiesto di parlare dell’importanza della lettura nell’infanzia, soggetto immenso. Ho dunque scelto di privilegiare una dimensione che mi è sempre parsa importante nel corso degli anni e di cui non si parla abbastanza: per un certo numero di coloro che ho incontrato, ciò che si trova nelle letture, dalla più tenera età, è forse innanzitutto un certo accordo, nel senso musicale del termine, con ciò che ci circonda.

Quando dico ciò che ci circonda, questo eccede la famiglia, i parenti e la stessa società; è anche il mondo, il cielo stellato, l’oceano, la città, gli animali. E’ una certa armonia, momentanea, con tutto ciò, una sensazione di abitare, di essere al proprio posto. Ciò che si prova in alcuni istanti nella lettura è al tempo stesso accordo con il mondo interiore, con sé stessi. E mi sembra che sia questa sensazione di accordo con il mondo, esteriore e interiore, che lettori, forti o occasionali, cercano di ritrovare ritornando ai libri o riattivando i loro ricordi di lettura. Detto così, è evidentemente molto astratto, quindi cerco di spiegarlo meglio.

Quando ho cominciato ad ascoltare le persone evocare i loro ricordi delle letture d’infanzia e di adolescenza, mi sono subito stupita della frequenza con la quale ricorrevano a delle metafore spaziali, e questo è qualcosa che ho ritrovato nel corso delle mie ricerche: «La lettura è il mio paese», «I libri sono stati una terra di asilo possibile», «I libri sono stati la mia casa, il mio essere a casa, erano sempre là ad accogliermi». Per molti, a giudicare dai loro racconti e dalle loro associazioni, ciò che era in gioco leggendo nell’infanzia (e dopo) era proprio l’apertura di un spazio, che molti di loro hanno definito come «anche loro».

Leggere o ascoltare leggere, permette, prima di tutto, di creare questo spazio accogliente, più ancora per coloro che non dispongono di alcun territorio personale. Nei contesti violenti, una parte di loro si sottrae alla legge del luogo, un margine di manovra è aperto. Perché ciò che descrivono non è una fuga, è piuttosto un salto in un altrove, dove il sogno, il pensiero, il ricordo, l’immaginazione di un futuro, diventano possibili.

Molto presto, ho preso coscienza, in particolare, del ruolo che la lettura poteva giocare per gli esiliati che avevano perduto la loro casa e i paesaggi in cui erano cresciuti, per i loro figli e per coloro che in aggiunta erano oggetto di xenofobia aperta o mascherata. Come quel ragazzo che non sapeva letteralmente trovare un posto, né nella sua famiglia, né nella città francese dove viveva, né nel paese di origine dei suoi genitori. Mi aveva molto parlato del Château de ma mère di Pagnol. Lo aveva letto meravigliato, l’ospitalità del libro aveva rilanciato quella della bibliotecaria che glielo aveva consigliato e la storia aveva nutrito il sogno di un Sud, dove immaginava di vivere un giorno.

I libri, e particolarmente le opere letterarie, possono essere altrettante dimore prese in prestito. Ciò che sanno bene bibliotecari, insegnanti e psicologi, che usano le poesie, i miti e i racconti con i bambini, gli adolescenti e gli adulti che sono esiliati, sfollati o il cui contesto di vita è stato distrutto o alterato, come in Colombia, nella periferia di Medellin, dove alcuni bibliotecari, quando una parte della popolazione è stata cacciata a causa dei combattimenti tra gruppi armati, hanno sviluppato un programma intitolato «Il rifugio dei racconti». Con il giubbotto antiproiettile, Consuelo Marin andava a leggere ad alta voce a chi era in una scuola del quartiere. Un mattino voleva interrompere la lettura, perché i colpi si avvicinavano, ma i giovani ascoltatori pretesero di ascoltare la fine della storia: «Questi bambini che passavano le loro notti piangendo nei corridoi del liceo, temendo il buio, non volevano perdere la fine del racconto, come fosse una seconda pelle, pelle dell’anima che è impossibile levarci».

«Tutti i vivipari hanno una loro tana» dice Pascal Quignard e aggiunge: «E’ l’idea di un luogo che non sarà mio, ma me in persona». Tutti i vivipari hanno la loro tana e tutti gli umani hanno bisogno, in più, del riparo di una cultura. I beni culturali e i libri, in particolare, hanno a che vedere con la tana, con questa «seconda pelle», questa «pelle dell’anima» di cui parla Consuelo. E, anche se non si vive in un quartiere dove si fronteggiano dei gruppi armati, un libro è un’opportunità di costruire la propria capanna nella giungla, come l’ha definita un ragazzo. Un’occasione di edificare, dalla più tenera età, delle case di parole, d’interporre tra il reale e sé stessi un tessuto di termini, di conoscenze, di storie, di immagini, di fantasie, senza le quali il mondo sarebbe ostile, inabitabile. Sono anche arrivata a pensare che la letteratura, orale e scritta, ma anche le pratiche artistiche alle quali spesso la lettura è associata, fossero dei componenti essenziali dell’arte di abitare, di quelle attività che consistono, secondo l’architetto Henri Gaudin, in «tessere tutti i tipi di cose attorno a noi, per farcele amiche, per renderle meno indifferenti. Abitare è questo: disporre le cose attorno a noi, riassorbire la distanza con l’estraneità di ciò che è fuori di noi.»

Leggere, ma anche scrivere e, in modo un po’ diverso, guardare delle illustrazioni, dei dipinti o dei film, cantare, disegnare, offre a ciò che ci circonda una colorazione, uno spessore simbolico, immaginario, leggendario, una profondità, a partire dalla quale si può sognare, deviare e fare associazioni. A proiettare sul quotidiano un po’ di bellezza, delle fiabe, delle storie. Questo serve ad accordarci o a raccordarci al mondo che ci circonda, attraverso l’accesso a un’altra dimensione.

Per molto tempo, sono state le culture orali, molto più di quelle scritte, che hanno permesso d’interporre tra il mondo e sé tutto questo tessuto di parole, conoscenze, leggende, fantasie, che lo rendevano abitabile. Gli adulti vi attingevano le canzoni, le conte, i proverbi, i racconti, per presentare il mondo ai bambini e agli adolescenti, affinché potessero legare la loro esperienza individuale a delle rappresentazioni culturali, trasformare gli avvenimenti della loro vita in qualche cosa che avesse un senso e una bellezza che fosse possibile condividere. Oppure, almeno, evocavano delle storie, degli aneddoti, dei ricordi personali, in una lingua diversa dagli scambi ordinari. Una lingua più narrativa, più accurata o più poetica, ritmata.

Oggi, nella maggior parte dei luoghi, la tradizione orale è disarticolata, i riferimenti simbolici disorganizzati. In particolare, nella migrazione da un paese all’altro, da una lingua all’altra, ma anche da una regione all’altra, molte persone non possono ridare vita ai loro ricordi, dimenticano le leggende che sono state loro trasmesse nell’infanzia o quelle che sembrano appartenere a un passato che non ha più ragione d’essere, che fa quasi vergognare. Non ci si sente a proprio agio ad evocare la saga familiare. La lotta per la sopravvivenza o il lavoro si prende il tempo quotidiano. E il linguaggio non serve ad altro che alla designazione immediata di cose o persone o per l’ingiunzione. In queste famiglie mancherà ai bambini e poi agli adolescenti tutto questo tessuto di parole, proverbi, storie poetiche, fantasie, che potrebbero interporsi tra loro e la realtà. Il mondo che li circonda non dirà loro niente o significherà solo umiliazione e rifiuto, se abitano nei quartieri relegati, stigmatizzati o, ancora peggio, nei campi dove sopravvivono oggi tanti esiliati e i loro bambini. Mancherà loro anche una tappa per integrare i diversi registri della lingua e appropriarsi un giorno della cultura scritta: quella in cui la letteratura, orale o scritta, inizia i bambini ad un uso delle parole tanto vitale quanto «inutile», più vicino alla vita, alla voce, al corpo, alle emozioni, al piacere condiviso, più lontano dal controllo e dalla valutazione. Questo avverrà a meno che essi non incontrino altri mediatori, che sappiano condividere con loro parole abitabili, così come fanno bibliotecari, insegnanti, scrittori, che animano i laboratori culturali nei contesti critici.

Ciò che si prova a tratti nella lettura, è anche un certo accordo con il mondo interiore, ben inteso, quando i testi danno forma a ciò che indicibile. Le opere letterarie ci rappresentano, ci consegnano molte immagini di cui ci possiamo appropriare, come tanti ritratti. Ho il ricordo di un ragazzo, Pablo, che doveva avere 8 o 9 anni. Sdraiato per terra con i suoi album, li sfogliava e commentava: «Questo sono io. Questo sono io. Questo non sono io. Questo sono io». Leggere, contemplare opere d’arte, serve a trovare fuori di sé le rappresentazioni che permettono di mettere in scena, in modo distanziato o indiretto, con delle svolte, delle metafore, ciò che abbiamo vissuto, soprattutto i capitoli difficili della nostra storia. Questo permette di attivare delle improvvise prese di coscienza della verità interiore. Di pensarla, di trasformarla. E nel corso della vita intera, leggere innesca un’attività di narrazione della propria storia, tra le linee lette, leggere fa «scrivere», non fosse altro che nella propria testa. Anche lo scrittore «sono io.» Le associazioni, l’inventività, il pensiero sono rilanciati.

Concludendo, vi dirò che nel corso degli anni noi tutti, cercatori e passeurs di libri, abbiamo spiegato l’importanza per i bambini e per gli adolescenti di leggere letteratura, ovvero l’importanza di leggere loro, perché influirà sul vocabolario, la sintassi, la capacità di esprimersi, di argomentare e, dunque, sul percorso scolastico e, più tardi, su quello professionale. Perché condivideranno un patrimonio comune e che questo li aiuterà a capire il punto di vista degli altri. O perché questo migliorerà le loro capacità cognitive. E soprattutto perché avranno maggiori opportunità, più tardi, di diventare lettori di libri. Tutte cose vere, in effetti, e che ribadiremo se ce ne fosse bisogno. Ma la posta non è solo soltanto il percorso scolastico, né formare dei lettori di libri nel momento in cui il loro numero sembra diminuire. Non giudicheremmo cosa fondata il cantare ai bambini, affinché da grandi diventino musicisti.

La posta in gioco è più ampia e un po’ diversa. E’ quella di vivere delle esperienze essenziali per lo sviluppo psichico, emotivo, intellettuale, estetico. Delle esperienze che aprano spazi propizi al sogno, al gioco, all’esplorazione di sé, degli altri, del mondo, alle condivisioni. Delle esperienze che lascino delle tracce e dei ricordi.

Oggi è tempo di ricordare che siamo degli animali poetici, degli animali narrativi e che, dalla più tenera età, abbiamo bisogno dell’arte e della letteratura orale e scritta, per abitare il mondo che ci circonda. In questo senso, la lettura risponde a una necessità antropologica, è un’esigenza vitale, anche per i ragazzi che leggono di tanto in tanto e ancora di più oggi, in questi tempi di rivoluzione digitale.

Abbiamo bisogno dell’arte e della letteratura, perché l’una e l’altra ci restituiscono degli scorci del nostro mondo interiore, per vie traverse, metaforiche. Perché le nostre associazioni, la nostra curiosità, la nostra creatività, il nostro pensiero siano rilanciati. Perché frequentare le opere, arricchisce le conversazioni sulla vita, il dialogo. Perché questo permette di trasformare ciò che ci capita, di cambiare dispiaceri ed emozioni in idee. Perché questo può nutrire l’arte di vivere la quotidianità. Noi abbiamo bisogno dell’arte, perché non siamo solo delle variabili economiche, più o meno ben adattate, adeguate a un universo produttivistico.

Detto altrimenti, invece di vedere nella lettura un investimento per un futuro più remunerativo, vediamolo come uno spazio in cui vivere un presente più vasto, più intenso. Nell’anteporre un approccio utilitaristico e angosciato a ciò che potrebbe essere una festa, facciamo un lavoro ingrato. Quando i bambini e gli adolescenti aprono un libro, non lo fanno per diventare dei buoni cittadini o perché questo li possa aiutare nel loro percorso scolastico. Lo fanno perché hanno bisogno di un’altra dimensione, di un altro spazio. Perché cercano dei segreti, perché sono curiosi, inquieti, giocatori e poetici. Perché sono alla ricerca dell’eco di ciò che sentono in modo confuso e indicibile e perché i libri danno forma a desideri o timori, che credevano di essere i soli a conoscere. Perché questo permette loro di sostituire il caos con un po’ d’ordine, di continuità.

Nel mondo contemporaneo in cui c’è brutalità, odio, distruzione, la letteratura, l’arte, la scienza qualche volta, permettono di mantenere delle spiagge, dei giardini, degli spazi di scoperta, di gioco, di sogno, di socialità, di dialogo. Forse possono contribuire a non farci aggiungere altra brutalità, essendo più attenti a ciò e a chi ci circonda. Questo non è indotto magicamente dalla sola letteratura e dalle sole pratiche artistiche. Occorre un’accoglienza, un ascolto, molte conversazioni. Ed è qui che il ruolo dei mediatori è importante. Affinché le parole della letteratura, il linguaggio dell’arte o della scienza rendano il mondo abitabile, occorrono altre parole, quelle di un passeur.

Essere un passeur di libri, un passeur culturale, in senso più lato, implica un’arte sottile: sapere liberare la potenza di vita delle opere.

Molte persone lo fanno con talento e inventiva – dei genitori, degli insegnanti, dei bibliotecari, dei membri di associazioni, degli scrittori, degli artisti. Non lo fanno solo perché lo scritto ha un posto fondamentale nelle nostre società e perché è molto importante rendere la sua appropriazione desiderabile. Lo fanno, perché sentono che qui si gioca tutto un rapporto con il mondo. Per esempio, quando i genitori cantano per i loro bambini, raccontano o leggono loro una storia, guardano insieme delle illustrazioni o dei cartoni animati, mi sembra che facciano loro una specie di promessa: che potranno accordarsi, in modo musicale, a ciò che esiste. Che è tutt’altra cosa, insisto, che adattarvisi. Si fa intendere loro che esistono altri spazi, fragili e preziosi, dove si può tendere verso questo accordo. Spazi che occorre preservare, affinché il mondo che diciamo reale sia un po’ più abitabile.

Grazie per contribuire a questa trasmissione e grazie per avermi ascoltata.

(per la traduzione del testo dal francese, grazie a Nicoletta Gramantieri, Giovanna Malgaroli e Ilaria Tontardini)


IBBY Italia

IBBY Italia è un’associazione di volontari che si dedica alla promozione del libro e della lettura. IBBY Italia è la sezione italiana di IBBY International di cui fanno parte più di 80 Paesi membri


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