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A PASSO DI TARTARUGA – letteratura e cambiamento

IBBY Italia verso il congresso internazionale 2024 a Trieste: contributo che Nicola Cinquetti ha portato sul palco di Bookpride a Milano il 10/03/2024, moderatrice dell’incontro Giovanna Malgaroli. L’autore ha voluto condividere con le socie e i soci di IBBY Italia il testo integrale dell’intervento.

 

Vorrei condurre questo mio intervento parlando di Donatella Ziliotto, scrittrice che ho letto, amato e studiato, e che per me, come autore di libri per ragazzi, rappresenta un riferimento prezioso. Si dà il caso, peraltro, che il Congresso verso il quale siamo orientati avrà luogo in agosto proprio a Trieste, nella sua città. 

Nel 1987, all’interno di un volume curato insieme a Francesca Lazzarato(1), Donatella pubblica un saggio dedicato alle due grandi scrittrici nordiche da lei tanto amate, Karin Michaëlis e Astrid Lindgren. Il saggio si intitola significativamente Generazione Bibi, generazione Pippi, in omaggio alle più celebri bambine di carta create dalle due autrici. A proposito di Pippi Calzelunghe, il romanzo della Lindgren che lei stessa, giovanissima, aveva tradotto per Vallecchi nel 1958, Donatella scrive: 

«Molte delle ragazze che alla fine degli anni Sessanta parteciparono ai movimenti studenteschi con maggiore entusiasmo e maggiore vitalità avevano letto all’inizio di quel decennio Pippi Calzelunghe; non è un’ipotesi, ma un dato scaturito da inchieste non solo italiane: questa è infatti la risposta data anche dalle studentesse di vari collegi femminili americani a proposito della preferenza delle loro letture. Del resto Pippi causò un profondo rivolgimento di costumi e un grande scandalo tra i benpensanti anche quando, quindici anni prima che in Italia, uscì nella per noi anticonformistica Svezia».

È un’osservazione molto interessante, per noi che abitiamo la letteratura per ragazzi, proprio perché individua una relazione, di solito ignorata, tra i libri che i bambini incontrano nell’infanzia e la visione del mondo che gli stessi bambini matureranno crescendo, diventando giovani e adulti. 

Intendo dire che raramente, quando si parla di un adulto e si traccia la sua biografia culturale, si sottolinea l’importanza dei libri da lui letti e amati negli anni dell’infanzia. Eppure nessuno ignora che gli anni decisivi, per la formazione della persona e della sua mentalità, sono proprio quelli più vicini alla nascita, quando la mente assorbe le immagini e le parole del mondo con una naturalezza, una duttilità e una libertà che andrà via via perdendo. 

La stessa Donatella, nel saggio citato, ricorda la “ventata di libertà” che le bambine della sua generazione, nate sotto il regime fascista, assaporarono inaspettatamente nelle storie di Bibi, formidabile personaggio creato dalla fantasia di Karin Michaëlis. Dice Donatella: 

«Nel 1940 ci fu il fenomeno della serie di Bibi della danese Karin Michaëlis […]; di questa, stranamente, sfuggì al fascismo la carica rivoluzionaria: la storia della bambina danese comunica un tale anticonformismo, un tale senso di indipendenza, una tale visione democratica, che funzionò da violento antidoto alla retorica e alla chiusura del momento. 

Bibi era una ribelle, scorrazzava da vagabonda per tutta la Danimarca, respingendo l’autorità della scuola, della legge e dei pregiudizi. “Si può misurare la libertà in chilometri” scriveva Karin Michaëlis; “questa comincia col mettersi in movimento e coll’uscire dallo spazio geografico e sociale. In seguito si passerà dalla libertà di movimento alla libertà di fatto”».  

Bibi e Pippi, due figure dirompenti, in quanto dissonanti rispetto ai mondi in cui si muovono le loro lettrici, e debordanti rispetto ai confini di quei mondi. Se quello che stiamo cercando è una relazione possibile tra letteratura e cambiamento, abbiamo qui un esempio, direi quasi una prova, di come la letteratura per l’infanzia, nelle sue espressioni più alte, possa innescare processi di cambiamento, in quanto capace di mettere in crisi il dato e l’acquisito, di smascherare il pregiudizio, di risvegliare esigenze profonde, di suggerire al pensiero possibilità inesplorate, di aiutare a riconoscere i recinti e a scavalcarli.  

Bibi e Pippi: due bambine indomabili, alle quali, vorrei accostare una terza compagna, creata dalla penna della stessa Donatella Ziliotto. Mi riferisco a Tea Patata, protagonista dell’omonimo romanzo pubblicato nel 1968. 

Siamo nel pieno della protesta studentesca, sull’onda di un movimento di contestazione che mette in discussione l’assetto tradizionale della società, investendo la famiglia, l’educazione e la scuola. 

Al centro del romanzo, infatti, troviamo una famiglia anticonformista, proiettata verso forme nuove e alternative di relazione e di convivenza: basti pensare che i quattro figli non vivono sotto lo stesso tetto dei genitori, ma in una dependance della casa: potranno crescere, così, “indipendenti e felici”. 

I quattro figli portano soprannomi eloquenti: la Grande Caterina, Frenetico Gio, Calamity Re e la nostra Tea, Teodora detta Tea Patata, che ha cinque anni ed è la più piccola. 

Se i fratelli più grandi sono svelti, svegli, dinamici, sicuri, Tea è lenta, impacciata, insicura e timorosa, tanto sensibile quanto vulnerabile nei sentimenti. 

Se i fratelli si adattano con naturalezza allo stile di vita alternativo imposto dai genitori, Tea ne soffre, perché non lo sente adatto alla propria natura. 

Alla festa di Carnevale, lei vorrebbe tanto vestirsi da fata, ma dovrà indossare il costume di Nembo Kid, cioè di Superman, per assecondare il volere della madre, perché le fate, alla madre, fanno semplicemente orrore. 

Tea Patata è fatta così. Eppure è lei il centro del libro, è a lei che Donatella dedica tutta la sua attenzione e tutto il suo affetto, è lei la campionessa vittoriosa, che le lettrici e i lettori impareranno ad accettare e ad amare. 

Riassumendo: nell’anno sacro della contestazione, Donatella Ziliotto, giovane scrittrice creativa, innovatrice e progressista, mette in scena il disagio di una bambina che risulta disallineata rispetto ai nuovi dettati e ai nuovi valori dell’ideologia famigliare e sociale. 

In questo senso, Tea Patata, sebbene sia tanto diversa dalle due bambine nordiche, per carattere e personalità, condivide con loro la stessa capacità di smarcarsi, rispetto al contesto, di lottare – in questo caso di resistere – e di difendere con tenacia la propria identità. 

Con Tea Patata, in altre parole, Donatella Ziliotto, “contestatrice fantastica”, prende tutti in contropiede, con un movimento a sorpresa, controcorrente e controvento, che mi permette di tornare a dire qualcosa sul nostro tema – il rapporto tra letteratura e mutamento. 

In primo luogo riconosco, nella scelta di Donatella, un atto di libertà. La letteratura, quando è autentica, si muove liberamente, senza lasciarsi condizionare né dalle pressioni del pensiero conforme, né, sul versante opposto, dalle pretese dell’anticonformismo. Così, grazie a questa libertà di fondo, la scrittrice può cogliere criticità e contraddizioni anche all’interno del proprio mondo di appartenenza.  

La libertà della letteratura, del resto, deriva dal fatto che la sua referente non è l’ideologia, ma la vita. La narrativa racconta la vita, la poesia canta la vita. E la vita degli esseri umani – delle bambine e dei bambini – è sempre irriducibile ai costrutti teorici che vorrebbero comprenderla e orientarla, perché molto più varia, multiforme e complessa. 

Accade così che, nel momento in cui sembra che tutti si mettano a correre, sicuri e spavaldi nella loro frenesia, la scrittrice volga l’occhio verso chi avanza, invece, a passi lenti, e procede verso un’altra direzione. 

Mettiamoci per un momento nei panni delle piccole lettrici che non hanno il passo svelto di Frenetico Giò e di Calamiti Re, o la sicurezza della Grande Caterina: quanto sollievo, quanta felicità, rispecchiarsi nell’immagine a tutto tondo di Tea Patata – e sentire che c’è piena dignità anche nell’essere così!  

Non si deve pensare, peraltro, che sia un’esigua minoranza, quella delle lettrici e dei lettori che non si riconoscono nelle rappresentazioni comuni dell’infanzia. Anzi. Ogni generazione di bambini deve fare i conti con un’immagine deformata dell’infanzia – promossa dai mezzi di comunicazione più invasivi – rispetto alla quale i bambini reali finiscono facilmente per sentirsi fuori fuoco, e quindi a disagio. Di qui, la mano tesa della letteratura per l’infanzia, che nella sua modestia di cenerentola offre ai piccoli lettori possibilità diverse e inedite di rappresentazione e di riconoscimento. 

Del resto, il cambiamento fondamentale che può scaturire dall’incontro con la letteratura è di natura interiore e singolare, e ha a che fare con la conoscenza di sé. Il libro è uno specchio nel quale, se è fortunato, il lettore può riconoscere la propria immagine, o mettere a fuoco alcuni tratti della propria identità, ritrovandoli nei profili e nelle storie dei personaggi che si muovono tra le pagine. 

Soprattutto nel tempo dell’infanzia e dell’adolescenza, quando crescendo si va alla ricerca di quello che si è, il cambiamento decisivo è quello che porta a ridefinire sé stessi, mettendo da parte le proiezioni altrui e tutto quello che è spurio e posticcio, per valorizzare quanto c’è di più profondo, e quindi di autentico, nella propria persona.

In questo senso, il dialogo silenzioso e solitario che il lettore stabilisce con il libro, l’incontro con i personaggi, il confronto con i loro vissuti e le loro verità, possono dare indicazioni impagabili, sul cammino dell’autocoscienza. 

Per concludere, un’ultima suggestione. Se mi interrogo sulla relazione che sussiste oggi, nell’era telematica, tra letteratura e cambiamento, devo riconoscere che il cambiamento sociale e culturale è trainato, oggi, dalla tecnologia digitale, rispetto alla quale la letteratura (quella che vive nei libri) sembra procedere lenta, molto lenta, come una Tea Patata che non riesca a tenere il passo rapido dei fratelli. O come una tartaruga – visto che la stessa Tea Patata, nel romanzo, si identifica nella tartaruga che vive nel giardino di casa. 

Non sempre, però, la velocità è vincente. Non in tutti i casi. Mi viene in mente la famosa tartaruga di Bruno Lauzi, quella che all’inizio della canzone filava via veloce come un siluro, ma poi, per via di un incidente, dovette rallentare; e allora, solo allora, cominciò a vedere quello che prima le era sempre sfuggito: un bosco di carote / un mare di gelato / che lei correndo troppo / non aveva mai guardato… 

Ci sono cose che si lasciano vedere solo nella lentezza. Sono cose che esistono nel mondo interiore, nei territori dell’anima, dove è possibile scendere solo se si avanza con calma, in silenzio, come quando ci si vuole avvicinare a un animale selvatico senza spaventarlo. 

Ci sono cose che solo la letteratura può dire, proprio perché procede lentamente, passo dopo passo, nel dialogo silenzioso tra il lettore e il libro, affidandosi alla sola parola, alla nuda parola. 

È per questo che la letteratura, nella sua accezione più vera, rimane insostituibile. 

 

Nicola Cinquetti

 

 

 1) F. LAZZARATO – D. ZILIOTTO (a cura di), Bimbe, donne e bambole. Protagoniste bambine nei libri per l’infanzia, Artemide, Roma, 1987

Nicola Cinquetti

Veronese, insegna storia e filosofia in un liceo. Autore di libri di poesia e narrativa per l’infanzia, ha esordito nel 1997 con Eroi re regine e altre rime, una raccolta di poesie pubblicata dalle Nuove Edizioni Romane. Nel 2020 ha ricevuto il premio Andersen Italia come miglior autore. Nel 2023 ha vinto il premio Cento e il premio Campiello Junior con L’incredibile notte di Billy Bologna (Lapis), ed è stato finalista al premio Strega Ragazzi e Ragazze con L’estate balena (Bompiani).


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